Prendere congedo da una persona amata fa male. Anche se tu ti dici spesso che dovevi pur fare i conti con la sua morte, che un bel giorno ella sarebbe morta, non puoi sottrarti al dolore dell’ addio. Deve essere sopportato e vissuto. Non puoi più parlare con la persona defunta, come accadeva in tanti bei dialoghi. Non puoi più guardarla negli occhi. Non puoi più abbracciarla, e sentire 1’odore della sua pelle. Lei non ci sarà più, quando tu ti sentirai solo/a, quando cercherai sostegno. Non entrerà più nella tua stanza, non si avvicinerà più a te. La sua camera, nella quale ha abitato, ora è vuota.
Congedo significa separazione. Tante cose ti hanno legato/a alla persona amata. In tante siete cresciuti insieme. Ora ti è stata sottratta. Ed è come se una parte del tuo corpo, del tuo stesso cuore, sia stata separata da te.
Molte persone in lutto provano la sensazione che, con la morte della persona amata, sia stato loro tolto il terreno sotto i piedi. La vita ha perso ogni significato. Restano intrappolate nelle sabbie mobili del loro lutto, annegano in un mare di lacrime. li salmista ha così espresso questa esperienza:
«Salvami, o Dio: l’acqua mi giunge alla gola. Affondo nel fango e non ho sostegno;
sono caduto in acque profonde e l’onda mi travolge. Sono sfinito dal gridare,
riarse sono le mie fauci; i miei occhi si consumano nell’attesa del mio Dio»
(Salmo 69,2-4).
Alcuni temono di toccare il fondo della loro tristezza e cercano di trovare un solido appiglio rivolgendo la loro attenzione alle emergenze, organizzando il funerale e lasciandosi assorbire dalle necessità materiali. Ma, subito dopo la sepoltura, cadono in una voragine. Quando rientrano nella quotidianità vengono sopraffatti da una profonda afflizione. Qualcuno cerca allora di uscire da questo dolore, altri invece non vogliono ammetterlo perché lo avvertono come una minaccia. Ma il lutto rimosso sarà simile a una palude insidiosa che, sotto la superficie di realtà esteriori apparentemente in grado di reggere, in qualche modo erode la terraferma e la trascina sul fondo.
Anche se ti fa paura, non ignorare l’abisso del tuo dolore. Anche se le lacrime sono inesauribili, anche se non ti senti più la terra sotto i piedi, non sprofonderai al di sotto delle mani di Dio. Puoi abbandonarti alle tue lacrime, nella certezza che le sue mani ti tratterranno amorevolmente. Non andrai a fondo.
Lascia che il tuo lutto si prenda tutto il tempo necessario. Non c’è una norma che preveda quanto tempo deve durare. TI lutto può trasformare il dolore, può trasformare te stessa, te stesso. Può farti conoscere la profondità della tua anima, può rivelarti che cosa potrebbe germogliare e fiorire in te. Ma, finché ti trovi nel lutto, ti senti male. E ritornano continuamente le stesse domande: «Perché doveva succedere così? Perché proprio questa morte? Come può Dio permettere questo? Perché mi ha fatto questo?».
Non meravigliarti se nel periodo del lutto affiorano anche sentimenti di rabbia e collera: «Perché mi ha lasciata? Lo sapeva bene com’ è difficile per me vivere da sola. Adesso devo farmi strada da sola. Sono sola a combattere con i figli, sola a dover prendere tutte le decisioni. Avrei avuto ancora tanto bisogno di lui».
Non spaventarti per i tuoi sentimenti. Nel lutto devi ancora chiarire il tuo rapporto con la persona defunta. E affiorerà anche qualche tratto che non era ideale. Lascia che sia così! Allora la relazione potrà fondarsi su una nuova base. Da’ spazio anche alla disperazione che qualche volta ti assale. Ma esprimila! Parlane con le persone che ti sono vicine, offrila a Dio nella preghiera. Porgi a Dio il tuo cuore ferito perché possa essere guarito dalla sua amorevole vicinanza.
Nel tempo del lutto la tua preghiera si trasformerà spesso in lamento. Non ti riuscirà di dire come Giobbe:
«Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; sia benedetto il nome del Signore!»
(Giobbe 1,21).
È più facile che tu possa lamentarti come Giobbe:
«I miei giorni sono passati, svaniti i miei progetti, i voti del mio cuore.
Cambiano la notte in giorno, la luce dicono – è più vicina delle tenebre.
Se posso sperare qualche cosa, la tomba è la mia casa»
(Giobbe 17,11-13).
Oggi noi abbiamo cancellato il lamento dalle nostre preghiere. Pensiamo che dovremmo subito rassegnarci alla volontà di Dio quando ci viene strappata una persona cara. Non è così. Dio stesso dà ragione a Giobbe quando si lamenta. Noi possiamo chiederne ragione a Dio: «Perché mi hai fatto questo? Che senso ha? Non mi sono forse sforzato di vivere ogni giorno secondo la tua volontà? E mi tratti in questo modo?». Abbi il coraggio di lamentarti così, anche se l’educazione religiosa che hai ricevuto lo rifiuta. E se non trovi in te le parole per lamentarti, puoi pregare con quelle del salmista:
«La mia voce sale a Dio e grido aiuto; la mia voce sale a Dio finché mi ascolti.
Nel giorno dell’ angoscia io cerco il Signore,
tutta la notte la mia mano è tesa e non si stanca; rifiuto ogni conforto.
Mi ricordo di Dio e gemo, medito e viene meno il mio spirito»
(Salmo 77,2 -4 ).