Andreoli: Sono il professor Vittorino Andreoli e sono uno psichiatra. Mi occupo cioè di folli, di persone che vengono considerate quanto meno strane, perché hanno dei comportamenti che si diversificano completamente da quella che si chiama la normalità, e quindi il mio lavoro è di interrogarmi perché certe persone hanno comportamenti così distanti dalla maggior parte delle altre persone.
E poi, una volta capito il perché, cercare di aiutarli, quindi in qualche modo di curarli. In particolar modo mi occupo di comportamenti anomali, se volete di follia del mondo giovanile. E quindi mi pongo tante domande: perché i giovani hanno alcuni comportamenti che non sono accettati, perché spesso sono contro, per esempio, contro le regole, contro la società, contro la famiglia, contro il Codice Penale. Ecco perché mi sono occupato di casi estremi, perché nella follia c’è la piccola follia, ma c’è anche la follia estrema. Mi sono occupato di un giovane, di Pietro Maso e mi sono chiesto perché ha ucciso i genitori per avere un’eredità. Mi sono occupato del caso di Chiatti, quel giovane che è arrivato ad uccidere due bambini, abusandone, anche dal punto di vista, oltre che affettivo, anche sessuale. Ecco, perché, di questi comportamenti? Naturalmente uno psichiatra non si occupa solo di casi estremi, ma in fondo si occupa del comportamento. Cioè, perché ci comportiamo in certo modo, perché i giovani si comportano in questo modo? E allora, tra tutte le domande che uno psichiatra si pone, c’è anche questa: perché la paura, perché alcune volte noi e voi siamo presi dalla paura, la paura nel mondo giovanile? Ecco, oggi parleremo di paura e cominceremo con una scheda.
PRESENTATORE: La paura va situata tra i meccanismi di difesa dell’individuo. Rappresenta uno stimolo per attivare reazioni che servono a difenderlo dai pericoli dell’ambiente. Se un bambino non avesse paura del buio, potrebbe, volendo, sbattere contro qualche oggetto e ferirsi. Analogamente un cerbiatto che non avesse paura di un leone non riuscirebbe a scappare e verrebbe eliminato. Vi è dunque una paura esistenziale, che va mantenuta e non certo curata. Occorre distinguerla da una paura clinica, che acquista una dimensione negativa, che, invece di proteggere, rende immobili e succubi. Essa diventa patologica quando si attiva senza che vi sia un pericolo reale o si esprime con una intensità eccessiva sproporzionata allo stimolo. Si può arrivare fino alla paura della paura, quando un soggetto non riesce più a far nulla poiché è spaventato dal fatto stesso di esistere. La paura clinica si inserisce nel grande capitolo dei disturbi d’ansia e quindi ne rappresenta uno dei punti. Sul piano della patologia vanno distinte vere e proprie malattie, come la malattia di attacchi di panico o il variegato gruppo delle fobie, la fobia per i luoghi aperti (agorafobia), per gli spazi chiusi (claustrofobia), e via via, fino alle fobie sociali, che costituiscono un gruppo in grande espansione in questo momento storico, come la fobia scolare, la fobia di parlare in pubblico. Si tratta di forme diverse di paura, che la propria immagine non sia adeguata. A questo proposito è da ricordare che la paura più frequente nella prima adolescenza, 11-16 anni, è quella di non piacere e di non piacersi, con la conseguenza di non venire accettato dal gruppo e rimanere soli. La paura è un sentimento fondamentale per capire due delle espressioni più gravi nell’ambito dei disturbi del comportamento: la violenza e la depressione. Quest’ultima rappresenta una furia psicologica, di fronte ad un ambiente percepito come ostile e che quindi spaventa. La violenza è una reazione opposta alla precedente. Invece di fuggire dall’ambiente che spaventa, lo si assale per distruggerlo. Se si vuol capire la violenza, è necessario prima conoscere la paura.
-Finita la scheda, inizia la discussione.
STUDENTESSA: Buongiorno professore. Volevo chiederLe come si fa a distinguere una paura positiva, se vogliamo esistenziale, da una negativa, che porta a una patologia?
Vedi, innanzi tutto partiamo dalla paura. E’ un sentimento di malessere, che ciascuno di noi prova quando si trova di fronte ad una situazione nuova, cioè quando dobbiamo affrontare, diciamo, un ambiente che ha caratteristiche inaspettate, non fa parte della quotidianità, della banalità, dello scontato. Allora per poterci adattare c’è bisogno di riattivare il nostro organismo, quasi di utilizzare al massimo le nostre possibilità e quindi c’è una paura, tra virgolette, “buona”, che è quella che ci permette di utilizzare al meglio le nostre possibilità. Questa è una paura utile, perché uno cercherà di riattivarsi sul piano fisico persino, come dovesse affrontare una lotta, oppure anche sul piano psicologico per poter tirar fuori tutto ciò che di meglio la sua personalità può dare. Ti faccio un esempio. E’ stato dimostrato che i ragazzi che devono sopportare un esame, affrontare un esame, ebbene, se hanno un po’ di paura, quella paura buona, quella esistenziale, pensa rendono il 40% di più di studenti che invece affrontano freddamente, come si trattasse di una cosa banale. Ecco, allora c’è un meccanismo che ti attiva, che permette cioè di farti esprimere al meglio le capacità. Tutto questo quindi ti aiuta a risolvere quella questione, a risolvere quel problema. Certo, c’è una paura che diventa clinica quando invece ti immobilizza, cioè non solo non ti aiuta, ma, per esempio non riesci più a collegare mentalmente, a ricordare ciò che già sai. E quindi vedi, la paura da “normale” – tra virgolette – a “patologica”, è in funzione della sua intensità. Allora è una paura eccessiva che ti blocca, ti vien voglia di scappare invece che di sederti di fronte all’insegnante che ti interroga, oppure quando la paura permane a lungo nel tempo. Non c’è più quello stimolo particolare, eppure tu hai paura anche quando vai a casa, anche quando poi fai cose banali. Quindi è una distinzione fondamentale, perché se è vero che una paura eccessiva va curata, cioè va in qualche modo affrontata, beh è altrettanto vero che la paura esistenziale non solo non va curata, ma deve essere accettata, anzi considerandola un sentimento positivo.
STUDENTE: Professore, Le volevo domandare una cosa: ma le paure sono sempre determinate da esperienze negative o possono essere determinate anche da altri fattori?
Vedi questa è una domanda di cui ti ringrazio, perché è molto importante. Allora, innanzi tutto, se noi vogliamo chiederci: ma la paura da dove deriva? Allora dobbiamo considerare tre fattori. Il primo, certo, conta anche come è fatto il nostro cervello, cioè la nostra biologia. E quindi è legata alle caratteristiche proprio fisiche, biologiche, però non è solo questo, perché altrimenti riporteremmo la paura a una qualche molecola. E’ quello che si chiama “riduzionismo biologico”. Dipende anche da un altro fattore, guarda, e che è la nostra personalità. Vedi c’è una personalità che si forma nei primi anni di vita, in particolare nel periodo da 0 a 3 anni. Pensa, in quel periodo è come se la nostra personalità venisse organizzata, venisse gettata nelle linee fondamentali. E, per esempio, dipende quindi dall’esperienza di quella età se noi siamo più fiduciosi o sfiduciati, se noi siamo estroversi o introversi. E tu capisci che un estroverso ha meno paura di chi invece si chiude dentro di sé. Il timido, per esempio, non affronta le situazioni. Possiamo definirlo, in qualche modo, uno che ha paura di affrontare la realtà. Ecco, queste caratteristiche della personalità si formano in questo periodo della vita. Quindi vedi, biologia come è il cervello, come è la personalità, come si struttura questa personalità, che chiamiamo anche di base. Poi c’è un altro fattore, è l’ambiente. Nessuno può negare che ci può essere un ambiente che spaventa e un ambiente che rassicura, ci può essere un insegnate che, chissà perché, ti mette in uno stato di forte disagio e un altro con cui ti trovi bene. Ecco, ambiente, come vedi, non si tratta solo della, della situazione fisica, geografica, ma ambiente come relazione. Allora sono tre i fattori e tutte le volte in cui noi vogliamo capire e anche tu – perché chiunque di noi ha a che fare con la propria paura o con la paura dell’altro -, beh, come vedi non è questione di una formula magica, ma c’è proprio oggi la possibilità di capire la paura da un punto di vista scientifico. Allora, ricordati, dipende dal cervello, dipende dalla personalità di base, cioè da quella che viene strutturata nei primi anni di vita, importantissima la vita infantile, ma anche da un ambiente, cioè l’ambiente geografico, ma soprattutto l’ambiente psicologico.
STUDENTESSA: Si ha paura di ciò che non si conosce, dell’ignoto, ma a volte anche di ciò che si conosce bene. Secondo Lei quale delle due paure è più pericolosa?
Guarda, ci sono delle paure senza oggetto, di cui l’espressione, se vuoi, più caratteristica è la paura della paura. Tu chiedi; ma di che cosa hai paura? Non lo so, eppure tu vedi che si tratta di una persona che ha tutte le caratteristiche di chi, di chi non sa che cosa fare, l’incertezza, la voglia di scappare. Quindi c’è una paura senza oggetto. E poi ci sono le paure degli oggetti. C’è chi ha paura di salire su un aereo, c’è chi ha paura dei ragni, e chi ha paura di un animale, e così via. Vedi, certo noi diciamo generalmente che si possono affrontare meglio le paure come oggetto. Analizziamo quella paura specifica. Ecco, però devi tener in considerazione che qualche volta una persona che ha paura di un oggetto, in realtà, non è quello il motivo principale, la causa principale, perché spesso noi abbiamo paura di cose che sono in realtà spostamenti di paure reali. Ti faccio un esempio. c’è una bellissima storia che racconta Freud, quella del piccolo Hans, forse ne avete sentito parlare. E’ una bellissima storia. La storia di un bambino, il quale era terrorizzato dai cavalli bianchi e quindi, allora – sai, parliamo nella Vienna del secondo Ottocento, i cavalli c’erano sul serio -, questo bambino, quando vedeva passare per strada un cavallo bianco, addirittura era preso da una paura tale che lo faceva svenire. Quindi una paura intensissima. Freud studia questo caso, lo analizza e scopre che in realtà questo Hans, il piccolo Hans aveva paura del padre, ma questa era una paura talmente pericolosa, che non poteva, tra virgolette, “permettersi di gestirla”, era troppo, era aver paura di una persona con cui viveva, e quindi aveva spostato quella paura dal padre a quell’oggetto diciamo, a quell’animale, che in qualche modo – questo meccanismo di difesa – gli permetteva di vivere con il padre. Però l’analisi che fa Freud ha svelato che la paura del cavallo non aveva niente a che fare col oggetto, in realtà era una paura spostata dal padre al cavallo. Ecco perché quando noi parliamo – e per rispondere alla tua domanda -, delle paure degli oggetti, non è detto che sia proprio l’oggetto, ma potrebbe essere che quell’oggetto raccoglie una paura che deriva da altre cause. E la paura gli derivava, almeno nell’interpretazione di Freud, da un complesso edipico (dall’Edipo re che voi certamente avete studiato a scuola): ebbene il problema secondo Freud è che il piccolo Hans aveva paura del padre in quanto diventava una sorta di nemico, un ostacolo al godimento dell’affetto della madre, cioè vedeva il padre come un competitore e quindi in qualche modo ne aveva paura. Paura però che, come ripeto, dal padre si sposta poi su un altro oggetto.
RAGAZZA: L’emozione può essere collocata nella sfera della paura? Cioè, quando una persona è emozionata, in un certo senso potrebbe esserlo perché ha paura della cosa che la fa emozionare?
Vedi l’emozione è un termine, devo dire, un po’ generico, perché l’emozione è quando uno avverte qualche cosa. E quindi è spesso un sentimento complesso. Però credo che il tuo stimolo è molto significativo per dire questo: spesso noi abbiamo paura di ciò che ci attrae molto. Se ci pensi, per esempio, se tu guardi, oggi, voi giovani, in fondo amate quei film che sono, sono abbastanza di paura, dove ci sono mostri. Il mostro è in fondo qualcosa che fa paura, ma, nello stesso tempo, attrae. Quindi c’è una emozione che per esempio noi chiamiamo il fascino. Il fascino è sempre l’insieme, pensa, di una attrazione e di una paura. Quindi, hai ragione, spesso le nostre emozioni sono collegate anche in parte alla paura. E spesso uno dei temi da studiare in questo periodo è perché mai i giovani sono così attratti da situazioni in fondo di pericolo, di paura, perché queste situazioni di paura, proprio perché sono di paura, finiscono anche per attrarre.
STUDENTE: Lei prima ha parlato di follia, quindi di persone che hanno preferito scappare da questa dimensione, perché molto probabilmente travolte dalle paure. Ecco, lì, nell’animo di quelle persone, la paura ha raggiunto una forma di terrore?
Certo.
STUDENTE: Oppure è rimasta una paura che qui è uno stato d’animo e quindi non deve essere assolutamente toccata, assolutamente curata?
Mi piace molto la tua, la tua domanda, perché è centrale. Io considero che la paura sia un nodo di partenza per la follia, per molte delle manifestazioni di follia. Cioè in altre parole, alla paura bisogna rispondere, cioè l’uomo, ciascuno di noi, di fronte ad una paura , in particolare, la paura intensa o duratura nel tempo, deve dare una risposta. E questa risposta è una vera e propria reazione. E sono due le possibili reazioni di fronte, di fronte alla paura: la fuga è quella, se vuoi, quella di una, di una preda di fronte al predatore, insomma che scappa. Naturalmente nell’uomo non necessariamente si fugge coi muscoli, scappando, ma c’è una fuga psicologica. Per cui di fronte a una situazione di paura c’è una fuga. Prima si rimane come attoniti, quasi passivi, poi ci si allontana, poi si comincia a dire: “No, io in quella situazione che mi spaventa, in quella situazione, non so cavarmela, quindi mi allontano”. Poi uno comincia a dire: “Beh, ma non è solo in quella situazione, io sono incapace, non so, in realtà, cavarmela in nessuna delle situazioni”. E quindi, come vedi, è una risposta alla paura fatta dal singolo, che quasi si denigra. Dice: “Io non valgo niente”. E quando c’è la sensazione di non considerarsi, di non valere niente, beh, questa è già depressione. E pensa è una depressione a cui si lega spesso, come voi sapete il suicidio. E qui ritorniamo al mondo giovanile, che è quello che mi interessa molto. Tu pensa che, tra i giovani oggi, le cause principale di morte sono il suicidio e gli incidenti stradali. Guarda che è drammatico. Allora il suicidio quindi lo vediamo come una sorta di fuga, prima da quella situazione specifica, poi addirittura dalla vita, perché uno dice: “Io sono incapace di tutto. Non mi resta che morire”. L’altra possibile reazione non è di fuga, ma di violenza. Cioè in altre parole uno dice: ” Ma io mi trovo, ho difficoltà a inserirmi in questa situazione, in questo ambiente. Beh, ma non sono io, è l’ambiente che è contrario a me, è l’ambiente che mi rende le difficoltà”, e quindi si mette nell’atteggiamento non di fuga, ma di aggredire l’ambiente, cioè distruggiamo l’ambiente. E quindi la violenza. Ora, vedi, su questi due, su queste due direttive si inseriscono tantissimi comportamenti anomali, che poi definiamo follia. E quindi, dalla paura, che poi cresce di dimensioni fino al terrore, fino proprio alla impossibilità di gestirsi, dove uno colpisce l’altro in una situazione in cui non è in grado di capire che cosa fa, perché è sopraffatto dalla paura. Ecco perché, se vuoi capire la violenza , devi prima sapere cos’è la paura, che é un nodo principale per inserire molti comportamenti, che poi chiamiamo folli.
STUDENTESSA: Come Lei ha detto prima, a volte capita di aver paura di qualcosa, ma nello stesso tempo desiderarla inconsciamente, magari nei sogni. Ecco, io volevo sapere: qual il rapporto tra paura e desiderio?
Ma dunque, vedi, credo che ciascuno di noi abbia un grande bisogno di affermarsi, almeno in questa società. Non è detto che in tutte le società possibili, ci sia questa voglia di protagonismo, che arriva al successo, che arriva all’eroismo. Ora non c’è dubbio che la voglia di affermazione viene spesso portata, se vuoi proiettata, sull’eroe. Pensa quanta importanza ha nella cultura occidentale, dal mondo greco che è un mondo di eroi. Quindi anche oggi c’è questa esigenza, da parte del mondo giovanile, di una forma di eroismo, chiamalo, se vuoi, pseudo-eroismo. E allora abbiamo eroi un po’ particolari. “L’eroe del sabato sera”, “l’eroe dello stadio” e tanti altri piccoli eroi, se vuoi, un po’ tristi. Però, se andiamo a cercare di capire il perché, c’è questo grande bisogno di protagonismo e di eroismo. Ora l’eroe, lo si è sempre detto, è uno che ha paura, è uno che avverte che c’è una grande prova da fare e, siccome la maggior parte della gente scappa, non lo fa, lui, pur percependo quella paura, però fa il grande gesto, e quindi può arrivare ad affermarsi proprio in virtù della paura.
STUDENTESSA: Professore, volevo sapere, la paura può essere considerata un punto di partenza del percorso cognitivo della singola persona?
Guarda, la risposta dovrebbe essere sì, perché ti dico nella nostra formazione, nella nostra cultura la lotta è diventato uno dei temi forti. No? Pensa all’evoluzionismo, per Darwin, sia il singolo che le specie si affermano solo se sanno lottare e se vincono la lotta e quindi se eliminano altri. Poi è stata proposta addirittura una lotta sociale, una classe supera un’altra classe attraverso, attraverso una lotta. Quindi non c’è dubbio che la lotta finisce per essere un grande stimolo per affermarsi e per vivere nella nostra società. Però ti devo dire che io personalmente comincio a pensare che sarebbe molto bello, quanto meno, che cominciasse a dominare invece che il bisogno di lotta il bisogno di cooperazione. Cioè, in altre parole sarebbe bello che cominciassimo a dare meno importanza al singolo, che deve battere tutti gli altri singoli, ma in fondo a singoli che si mettono insieme, che formano un gruppo e che quindi realizzano degli scopi o delle finalità attraverso la cooperazione. Quindi mentre debbo dirti sì, è vero, la lotta è una fortissima motivazione che noi abbiamo oggi da vivere e a cercar di migliorarci anche se però spesso ci son degli eccessi, che poi portano una società ad essere troppo violenta, ad essere troppo in lotta, e quindi mi piacerebbe molto che dessimo, oltre alla lotta, che cominciassimo a privilegiare la cooperazione.
STUDENTESSA: Professore, per quale motivo si ha più paura della morte delle persone care più che della propria?
Questa è una bellissima domanda. Vedi, ognuno di noi ha bisogno di sicurezze. Le sicurezze che cosa sono? Sono quegli appigli che nella vita noi abbiamo bisogno di trovare per difenderci, per sentirci sicuri. La difesa più importante dalla paura è proprio, sono proprio gli affetti, il voler bene, il sentirsi sostenuti. Ecco quindi è chiaro che, se uno comincia a capire che la propria sicurezza, che è una “terapia” – tra virgolette – della paura, sono le persone care, beh, l’idea che queste persone care possano scomparire, ti mette, ti fa sentire, ti fa vivere un’esperienza, ti fa addirittura immaginare di essere senza quegli appigli. E senza sicurezza si ha paura. In fondo potremo anche definire la paura come una perdita di ogni punto di riferimento, e quindi di quelli che sono gli appigli prevalentemente di tipo affettivo. Vedi, mi dà, mi dà l’occasione per dire: guarda sì, poi parleremo, se avremo, se voi lo vorrete anche di “terapia”, quella che fanno gli psichiatri. Ma vedi, la prima “terapia” della paura la facciamo noi, come persone umane, l’essere vicino all’altro, voler bene. E non ho minimo dubbio che, per esempio, gli affetti, dall’amicizia all’amore, beh, sono delle grandi terapie per la paura. E quindi si capisce il perché la perdita di una persona cara che ti dà la sicurezza ti butta nella paura.
STUDENTE: Cosa ne pensa della paura d’amare?
Vedi l’amore è un sentimento di grande sicurezza, ma proprio perché diventa qualche cosa che uno sente come indispensabile si arriva al paradosso che si ha paura di perderlo. E allora anche l’amore ha un velo di paura, che può arrivare fino a delle forme gravi, la gelosia. Vedi io sostengo che la gelosia non è una patologia. Naturalmente una gelosia che sia proprio come un sentimento di perdere il proprio amore; ecco, quindi la gelosia, che vuol dire la paura di perdere quella condizione di sicurezza, è quanto mai, è quanto mai giustificata. Certo, quando arriva a essere non più proporzionata, ad essere addirittura un delirio, per cui uno si vede braccato e vede da per tutto nemici, che gli rubano il proprio oggetto d’amore, beh diventa una vera e propria follia, perché è un delirio. Però – se vuoi, è una considerazione questa molto, molto umana -, anche l’amore che è la più grande terapia alla paura, però comporta la paura di perdere questo strumento di difesa. Quindi come vedi, questo, questo mi porta a dire che la paura è prima di tutto una caratteristica esistenziale e quindi bisogna vincere l’idea che la paura, quando la si sente, è negativa. Ma, come vi ripeto, bisogna distinguere bene la fase in cui la paura, non solo è accettabile, ma è utile al nostro vivere, da quando invece è veramente dannosa.
STUDENTE: Appunto dinanzi alle paure, cosa bisogna fare?
Sai talvolta la paura è così forte che si segue quasi istintivamente la fuga. Però quello che io suggerisco sempre è il cercar di capire perché. Vedi, io non ho molta simpatia, anche se capisco, agli strumenti che salvano dalla paura, quelli che vengono usati… Cioè, voglio dire, tutto questo lo capisco, è pieno di umanità, ma non è questa la maniera. Io consiglio: cercar di capire il perché viene la paura, cioè chiedermi: “Ma perché ho paura di questo?” e cercare una risposta. Se non ce la fai da solo, con qualche amico, perché la paura è forte, con qualche terapeuta.
STUDENTESSA: Prendendo esempio dal fenomeno degli UFO, che si è molto sviluppato negli ultimi tempi, non Le sembra che la paura sia quasi un bisogno fisiologico per la mente dell’uomo di fuggire dalla realtà quotidiana?
Sì, tu sai che, dedicandomi alle interpretazioni razionali, perché questo è lo scopo della scienza, non mi dedico tanto a questi mondi, che sono in gran parte di fantasia, però hai ragione, cioè l’uomo ha bisogno di scappare da una realtà in cui si trova male, e quindi sovente inventa, o comunque descrive – perché io non so se gli UFO esistano oppure no -, ma inventa degli altri mondi, che, se però vedi, attraggono, ma spaventano, perché gli UFO ci piace vederli al cinematografo, ma io credo che molti di noi, e forse tu stessa, di fronte ad un abitante di Marte da trovare in casa, non avresti poi tanto coraggio e tanta simpatia di vederlo.
STUDENTE: Vorrei invitarLa a riflettere con noi su fatti gravi che accadono ultimamente, mi riferisco agli atti di pedofilia e di violenze sessuali che sono perpetrati sui minori. Mi chiedo: un bambino può oggi avere paura dell’amico del padre, del conoscente del padre, di un parente? E quindi in tal senso si può parlare per un bambino di una nuova paura, che è la paura della vita?
Hai toccato un punto che è drammatico. Vedi, voglio farti una piccola premessa. Vedi, in molti casi, i bambini che diventano oggetto poi di pedofilia, sono bambini che vedono nel pedofilo non un oggetto cattivo, ma addirittura attraente, perché il pedofilo si presenta come qualcuno che è molto buono, che dà i regali. E se tu provi ad immaginare, per un momento, ad un bambino che non trova, supponiamo in casa, un affetto, o comunque che non trova la sicurezza, magari che ha paura dell’ambiente familiare, ecco allora puoi vedere che il pedofilo, che si presenta con quelle, con quel volto, se vuoi, con quella maschera, può addirittura attrarre. Ora non c’è dubbio che bisogna che noi proteggiamo i bambini. Noi, che non vuol dire la madre, il padre. Il bambino è qualche cosa che appartiene alla società. Però non è facile, non è facile incutere la paura di una persona, perché se noi spaventiamo i bambini di fronte ad ogni persona estranea, ne limitiamo l’esistenza. Quindi, direi che non è il bambino che si deve difendere dal pedofilo, ma siamo noi, la società, che deve difendere il bambino da queste persone.
STUDENTE: E quindi la terapia migliore che la società può adottare in questo senso?
La società, vedi spesso la società sa, ma soprattutto noi tutti, perché siamo noi la società, dobbiamo indignarci, dobbiamo essere attenti, perché queste persone vivono tra di noi, vicino a noi. E se si sentono braccate, ma hai capito, culturalmente, se sentono che sono, non sono condivise, beh questa è la vera difesa che noi possiamo dare al bambino.
STUDENTE: Professore, la paura tra i giovani è molto diffusa. Secondo Lei, l’adolescenza che comporta un passaggio di stato, quindi la famosa crisi, è motivo appunto di queste paure? Cioè si passa da quello che è lo stato dell’infanzia, quindi qualcosa di più sicuro, verso una novità. E questo comporta anche la famosa crisi di identità, cioè la paura di essere, alla fine?
Certo, guarda è una domanda che hai posto chiaramente e che contiene già la risposta. L’adolescenza è una metamorfosi, quindi è il passaggio da uno stato, da una condizione di esistenza, ma anche fisica, psichica, ad un nuovo essere. E quindi in questo momento c’è una grande crisi, perché non rispondono più alle proprie certezze le figure paterna e materna, e ci si deve confrontare di fronte ad altre figure, quelle della società, che sono incerte. E quindi è una condizione in cui la paura direi è necessaria, perché, se non ci fosse la paura, non si riuscirebbe, per esempio, a scegliere bene il proprio gruppo di identificazione, il proprio gruppo di appartenenza: un giovane – privo di questa sana paura – accetterebbe qualsiasi gruppo, farebbe qualsiasi cosa quel gruppo facesse pur di non sentirsi solo, pur di appartenervi. Quindi è una paura che diventa vigilanza e critica, perché altrimenti in questa metamorfosi, beh, ci si può trasformare in un brutto ranocchio.
STUDENTE: Professore perché si fanno ripetutamente dei sogni che fanno paura?
Freud, nel 1900, scrive L’interpretazione dei sogni, e in questa nuova interpretazione ha posto il sogno come un linguaggio del nostro inconscio. Allora noi abbiamo molte paure che non sono consapevoli e il sogno, in qualche modo, riesce a svelarle. Per cui tu trovi persone che mi dicono: “Professore, io non ho assolutamente paura”, insomma. Allora, per cui, spesso gli chiedo: “Ma tu fai sogni?”. “Ah, ecco sì, nei sogni però sono spesso preso da incubi e quindi mi sveglio sudato”, eccetera. Talora il sogno svela questo, questa paura che c’è dentro di noi e quindi questi mostri che ci sono e talvolta, interpretando i sogni, si capiscono bene le paure.
STUDENTESSA: La paura deriva da un’insicurezza, e, soprattutto nei giovani questa è molto forte. Volevo chiederLe: Lei prima ha accennato ad una terapia umana, cioè quella che si fa spesso tra uomini cercando amore o amicizia. Ma nella terapia psichiatrica, alla quale accennava Lei prima, cosa consegue a questa ricerca?
Ecco, anche qui, nella tua domanda, è necessario distinguere. Tu forse tenevi presente quella paura che non va curata, la paura esistenziale. Certo la paura, la paura clinica prende diversi volti. per esempio c’è – e l’abbiamo accennata – la malattia da attacchi di panico, che è una malattia, una vera e propria malattia, ed è piuttosto grave, perché una persona esce di casa apparentemente tranquilla, è alla guida, tutto d’un tratto sente che gli succede qualche cosa, come se stesse per morire. E spesso persone che magari chiamano aiuto, vanno al pronto soccorso, poi, magari, in tre, quattro minuti, arrivate lì, scompare tutto. Però è una paura della morte, come se stesse finendo la vita. Quindi questa è una malattia molto seria, che va affrontata clinicamente. Poi ci sono le fobie: la fobia dei luoghi chiusi, dei luoghi aperti. E pensa ce ne sono, c’è una grande varietà di questo. Quindi ci sono dei casi in cui bisogna intervenire. Io ripeto oggi ci sono due possibilità. La prima è quella di usare dei farmaci, la seconda è quella di cercar di capire dove si origina la paura. Ti dirò, c’è una terza via, che a me è molto simpatica, quella che talvolta è utile usare in successione i farmaci o la psicoterapia o anche tutte e due insieme. Cioè non sono due terapie in lotta l’uno con l’altro. Ecco io credo che come risposta ad una paura acuta può essere utile il farmaco, che riesce a togliere il dolore. Però, poi, è molto importante capire sempre da dove nasce la paura.
STUDENTESSA: E una volta che si è capito, insomma la terapia viene data in base alla causa prima? Cioè Lei mi sta dicendo che praticamente la terapia si tradurrebbe in una pillola?
No, diciamo che, per sedare una paura acuta la pillola, beh, ha un effetto immediato che non può avere una psicoterapia. Se, però, vogliamo andare all’origine, cercar di capire il perché di quella paura, beh, la pillola non ci arriverà mai, la psicoterapia può arrivarci.
STUDENTESSA: Professore, che tipo di personalità riesce meglio a superare la paura, a non farla cadere in uno stato patologico?
Guarda, dividiamo, per semplicità, gli esseri umani, i giovani, in introversi ed estroversi. Gli introversi sono quelli, come sai, che tendono a guardarsi molto dentro. Sono quelli che in genere hanno anche molte più paure. E questi chiedono meno aiuto, e quindi sono più soli, finiscono per elaborare molto la propria paura, ma non ad arrivare ad una terapia. Ecco, ci sono poi gli estroversi, quelli che riescono a liberare le proprie angosce, ne parlano con tutti, cercano di coinvolgere gli altri. Ecco, credo che siano, per superare la paura, sono più, tra virgolette, più “disposti” gli estroversi, perché gli introversi accumulano, fanno anche delle fantasie che aumentano molto la paura. Vedi, però, é certo questo: bisogna arrivare alla comprensione. La prima terapia insomma è quella di parlare, delle proprie paure bisogna parlare. E io ti posso dire che oggi c’è una psichiatria che aiuta molto? Vedi per molto tempo, per molti secoli si usava l’aspersorio anche per curare la paura, perché chi era molto impaurito veniva spesso interpretato come un indemoniato, come uno preso dalle streghe, eccetera. Quindi quelle interpretazioni non scientifiche. Quindi c’erano degli strumenti per questo, strumenti anche che avevano funzione, perché rassicuravano nel momento. Beh, io credo che oggi, a questo tipo di strumenti irrazionali, si devano dare delle terapie psichiatriche, che è possibile fare. Quando tu parli con un terapeuta, che ti dà fiducia e che ti dice: “Guarda che la tua paura è possibile risolverla, parliamone. Come nasce?”, nasce quella relazione i cui uno condivide con te la paura e porta a curarla.
STUDENTESSA: Scusi, professore, vorrei ricollegarmi all’analisi di Freud e quindi allo spostamento della paura del bambino dal padre al cavallo bianco. Vorrei sapere quindi con quale criterio o comunque con quale percorso mentale avviene questo trasporto della paura da una persona ad un’altra cosa, oggetto, animale, o persona che sia.
Attraverso quelli che Freud chiamava “meccanismi di difesa”. Cioè noi, quando ci troviamo di fronte a situazioni molto difficili, cerchiamo di mettere in atto dei comportamenti che ci permettano di superare la difficoltà, ma in un modo accettabile. Ora, per il piccolo Hans era addirittura impossibile affrontare il padre, il padre visto come il super-io, quindi come il potere. Come faceva un bambino ad affrontarlo? E quindi quella paura non la può aggredire, in qualche modo la può solo spostare. Naturalmente spostandola ne fa un sintomo e quindi sta male. Per poterla curare, bisogna sempre andare all’origine e allora capire che la paura del padre era legata ad un processo edipico e quindi ad una conquista che era, sul piano storico, impossibile. E si può superare il complesso edipico come ha fatto Freud in modo simbolico.
STUDENTESSA: Professore, nella scheda che abbiamo visto si è detto che nel nostro periodo storico si stanno diffondendo soprattutto le fobie sociali. Vorrei sapere perché soprattutto nel nostro periodo?
Guarda, perché questo è un momento storico in cui l’immagine, la nostra immagine è fondamentale. Questa è una società di immagini, e noi ne siamo un esempio oggi, siamo in televisione. E quindi la rappresentazione del proprio corpo, del come siamo, del come appariamo è talmente importante che se c’è qualche cosa che si discosta da un ideale, da un modello – non so, l’essere magri per esempio, l’avere i capelli in un certo modo piuttosto che in un altro, ecco -, la nostra immagine ha preso così tanta importanza, per cui la paura più frequente nei giovani, in voi giovani, è la paura di non piacere, che quindi è la paura di non essere adeguati. E la mia generazione – verso la quale non ho nessuna nostalgia -, noi eravamo piuttosto brutti, uscivamo dalla guerra, non avevamo tutti gli abiti che avete voi e io avevo tante paure, perché le paure ci sono state ma variano con il tempo, ma certamente non c’era quella in fondo dell’apparire, perché noi non vivevamo la grande società, il grande momento dell’immagine. E bisogna che siamo in grado di controllarle, perché, pensa, ci sono dei disturbi dell’immagine, che sono gravissimi. Tra questi l’anoressia, che è proprio una sorta di paura del proprio corpo, che il proprio corpo non piaccia, e quindi, addirittura, viene negato, viene ucciso. Ecco, quindi, è perché è una società che dà troppa importanza alle immagini. Abbiamo come difenderci. Beh io vorrei avervi dato due elementi. Il primo è l’amicizia, il gruppo. C’è troppo, c’è troppa singolarità. L’io, l’io. Ecco imparate a stare insieme, ma non uno contro l’altro. Imparate a stare insieme come un gruppo che vi aiuta. Se la paura è troppo forte, ma spero non sia patologia, beh, allora ricorrete anche a questa categoria, a cui faccio parte, quella degli psichiatri, ma intanto discutetene tra di voi e magari fatevi aiutare da una coperta. E’ la coperta di Linus.
Buonasera è possibile avere un recapito del professore per prendere un appuntamento privato?
Saluti Marco