La musica in relazione alla vita della Chiesa, un’esperienza da interrogare con armonia. È stato il tema attorno al quale si è concentrata la Prolusione per l’apertura dell’anno accademico dell’ISSR “Alberto Marvelli” di Rimini. Relatore della serata, in una gremita Sala Manzoni, il Direttore dell’Ufficio Liturgico del Vaticano di Roma e della Pontificia Cappella Musicale Lateranense, mons. Marco Frisina, invitato per svolgere il tema “Cantare la fede – Musica e liturgia alla ricerca del volto di Cristo”.
Mons. Frisina fa subito chiarezza: il suo è un contributo “per riproporre un arte musicale forte in cui Dio sia nuovamente al centro della comunicazione artistica, dove si può sentire l’uomo di oggi e di sempre cantare il suo essere creatura con tutta la sua forza e tutto il suo tormento. Troppo spesso si relega la musica a qualcosa di piacevole che magari noi sperimentiamo, senza però restituirle il valore profondamente spirituale e liturgico che l’accompagna. La musica è per la liturgia e non viceversa, essa non è un suo abbellimento ma è parte fondamentale del rito. È impensabile spostare o sostituire canti che si collocano in particolari momenti o periodi della celebrazione liturgica. La Chiesa dunque prega con la musica\”.
La musica si costituì “nel momento in cui Dio, parlando, creò! Dio chiamò le stelle ed esse risposero, questo diede inizio alla musica. La musica è una delle cose tra le più materiali e spirituali che siano state generate; materiale perché si compone di vibrazioni fisiche a cui l’uomo associa misteriosamente sensazioni, ricordi, messaggi legati all’inconscio, esperienze dimenticate; spirituale perché nel richiamo della creazione ci siamo anche noi, cosicché l’uomo ha bisogno di comprendere la creazione in maniera musicale”. Con la musica l’uomo ritrova una sorta di perduta armonia con la natura e con se stesso, armonia mundi come dicevano gli antichi. “Siamo fatti da sempre capaci di entrare in sintonia con il suono, il nostro metronomo è il cuore, il polso. Il ritmo lo portiamo già in noi, come pure una lettura di ciò che c’è fuori e che si trasforma in linguaggio quando tentiamo di comprendere i suoni esterni che ci «aggrediscono»”. La lingua musicale però deve essere educata e secondo i greci la formazione dell’uomo all’equilibrio dei sentimenti, deve passare attraverso lo studio della musica; ma per un cristiano “questa educazione si trasforma in un canto all’armonia nuova che si è svelata nella creazione e nell’incarnazione\”.
“Perché cantiamo? Cantiamo per amore! Nell’innamoramento la vita canta, e si deve cantare quando non si può più solo dire. – spiega il direttore dell’Ufficio Liturgico del Vaticano di Roma – Di esempio ci vengono i giovani, gli adolescenti, che cantano l’amore di cui sono presi proprio quando esso viene percepito come qualcosa di più grande di loro e che li riempie\”. Anche nell’Antico Testamento lo stupore per le meraviglie operate da Dio si deve cantare, e ogni occasione si fa buona per esprimere la lode quando il rapporto con Dio cresce di livello, ma la completezza arriva solo con il canto di giubilo del Magnificat racchiuso nel Nuovo Testamento: “esso diventa l’archetipo stupendo di ogni canto cristiano. Maria canta quando si sente toccata dalla misericordia di Dio cosicché la sua anima magnifica il Signore e il suo spirito esulta in Dio. Per la Chiesa allora la musica non è abbellimento e piacevolezza, ma necessità contemplativa che nasce dall’accostarsi al monte di Dio\”. Per la Chiesa allora la musica non è abbellimento e piacevolezza, ma necessità contemplativa che nasce dall’accostarsi al monte di Dio. E la porta che ci consente di raggiungere la vetta, è la contemplazione adorante della bellezza irradiata dal volto di Gesù Risorto e che ci fa cantare d’amore perché la sua vittoria contro la morte diventa anche la nostra vittoria.
“Cantare la fede per il cristiano è la cosa più naturale che esiste”: canta di se stesso della creazione e della bellezza del volto del Risorto in un coinvolgimento in cui si passa dal canto di gioia della creatura a Dio per la creazione dell’Antico Testamento, all’inno di giubilo dell’universo che si sente chiamato alla destra del Padre assieme a Cristo Risorto. La natura Dio l’ha fatta perché potesse assecondare la musica per un mondo più ampio, più universale, che possa dire più cose di quanto il linguaggio quotidiano riesca ad esprimere.
Il canto per i cristiani è un diritto meraviglioso, acquisito con il battesimo; “per ora sono solo «prove di canto», – fa notare mons. Frisina – ma è di là che avremo «l’esame di canto» e bisogna saper cantare, perché se il cuore non canta, non si entra. Il canto è un fatto di cuore la voce viene in seguito, e solo seguendo l’inno al Magnificat di Maria le porte del Paradiso ci accoglieranno”.
Laura Pagliani
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