La gloria di Dio passa attraverso la scelta degli ultimi L’uomo vive per la gloria: o sceglie la propria gloria o sceglie la gloria di Dio. Se sceglie la propria gloria questo si chiama vanagloria. E chi cerca la vanagloria imposta ogni cosa per lo sguardo e la stima degli altri. Quindi cercherà in ogni modo di mettersi al centro in ogni situazione e tutto ciò che fa, lo farà per un sottile gioco di “do ut des” (ti do affinchè tu poi mi dia). Chi invece vive per la gloria di Dio non sceglie le vetrine, bensì le zone periferiche, i luoghi popolati dai poveri, i lontani, quelli che non sono guardati da nessuno e il cui sguardo non ti potrà mai tentare alla vanagloria. Così facendo incontrerà Gesù che alla nascita ha scelto la vicinanza delle bestie e alla morte di due ladroni. Gesù è libero dalle formalità di cortesia Gesù si rivolge con disinvoltura, perfettamente a proprio agio, al fariseo che lo ospita rompendo da subito gli schemi; infatti di solito quando si viene invitati si è in una posizione subordinata vista la condizione di ospite. Invece per Gesù non è così, è libero da questi schemi mentali tipici dell’ “umanità” ed è con questa libertà che può portare a tutti la sua Parola partendo dalla persona e non dai suoi beni (ricchezze, terreni…) o dalle qualità esteriori (bellezza…). La vera accoglienza parte dalla gratuità Gesù non si stanca di invitare quelli che hanno “minore” felicità terrena; prende come misura il criterio della carità che è la gratuità dell’ attenzione a chi soffre. Non compassione ma attenzione. Carità nel senso più tondo della parola, cioè umiltà. Gesù invita il fariseo a non chiamare ai suoi banchetti solo gli amici e i conoscenti che sicuramente prima o poi ricambieranno. Se chi invita lo fa con questo pensiero l’invito manca di gratuità: è come fare un regalo sapendo che l’altra persona ricambierà; questo è un pensiero umano e con secondi fini, quindi non è un vero “atto d’amore”, piuttosto un atto egoistico. Accogliere è condividere Gesù invita a chiamare poveri, storpi, ciechi, ma non per fare loro la carità o fargli passare un bel momento quanto per condividere con loro. Con loro che sono emarginati, con loro che sono invisibili o che si rendono invisibili per non disturbare. Dare loro la precedenza significa soprattutto condividere. La carità vera non è comprare un panino a un povero, ma due; uno per lui e uno per te e condividere insieme quel pasto raccontandosi reciprocamente. A parole questo è molto facile. In questo mondo quando è il momento di predicare siamo tutti molto bravi, ma è nei fatti che “casca l’asino” e ci si porta dietro il carretto. Certo che la condivisione è difficile, ma Gesù ci dà la sua misericordia, la sua grazia e la sua pazienza, perché il nostro ideale si trasformi in un fatto reale. San Francesco d’ Assisi ne è l’esempio vivente: figlio di un ricco mercante, aveva passato la gioventù tra feste e banchetti senza mai sporcarsi le mani; grazie alla misericordia di Dio è diventato tutt’ uno con i poveri non solo condividendo qualcosa con loro, ma tutto se stesso.
Luca 14. 12-14
“In quel tempo, Gesù disse al capo dei farisei che l’aveva invitato: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti”.