Il tempo libero è uno spazio privilegiato per un giovane. Ed è una opportunità di crescita.
E’ uno spazio privilegiato perché il giovane nel tempo libero sente di non avere attese opprimenti da parte della società, o del mondo adulto in genere. Non deve entrare necessariamente dentro regole precostituite, non deve fare delle cose perché la scuola o la polisportiva chiede di fare, non deve vivere precetti o cose del genere. Insomma, anche se oggettivamente gli spazi istituzionali non sono semplicemente dei doverismi il giovane li vive un po’ così; quindi il tempo libero è per loro uno spazio privilegiato, uno spazio in cui respirano. E se vogliamo localizzare questo spazio nel tempo diciamo che è il tempo del tardo pomeriggio e soprattutto della notte. Quasi mai della mattina: nei giorni feriali infatti la mattina si va a scuola o al lavoro, nei giorni festivi ovviamente si dorme.
Il tempo libro è anche una grande opportunità di crescita. Essendo uno spazio di libertà, uno spazio di respiro è anche uno spazio di ricerca interiore personale. E’ lo spazio dell’elaborazione, dell’interrogarsi su di sé. Platone scriveva nell’Apologia di Socrate: “Il più gran bene per l’uomo è interrogarsi su se stesso e indegna di essere vissuta è una vita senza tale attività”.
Questo vale ovviamente per tutti gli uomini, ma sono soprattutto i giovani che cercano di identificarsi, sono soprattutto loro i cercatori di verità. E’ in questa fase d’età che si lanciano i grandi progetti della vita, e un giovane senza ideali, senza slanci è un giovane senza futuro. Quindi il tempo libero è la possibilità di entrare in se stessi, di conoscersi e di costruire il futuro.
Una domanda a questo punto necessita.
Sono i giovani in grado di vivere il loro tempo libero come spazio personale di libertà e di crescita?
La domanda è ovviamente una provocazione. Non intendo rispondere, ma dare due piste come prospettive educative.
Primo: l’attenzione ai desertificatori dell’anima
Secondo: la necessità delle relazioni (comunità, centri aggregativi…)
Come anima intendo ovviamente l’interiorità dell’uomo. Cosa distrugge di più l’interiorità di un giovane se non la mercificazione dei suoi doni?
Chi sono i desertificatori dell’anima? Tanti, non saprei neppure io identificarli. E’ tutto ciò che mina il pensiero dei giovani, che gli impedisce di ragionare, riflettere, elaborare, prendere consapevolezza della realtà, della vita.
Per metterne una su tutte direi la televisione che rappresenta uno spazio rilevante nel tempo libero dei ragazzi.
Sentite cosa diceva Pierpaolo Pasolini più di 30 anni fa: “Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre”.
(Pierpaolo Pasolini, “Corriere della Sera”, 9 dicembre 1973)
E di nuovo Ermanno Olmi in una intervista analoga in Repubblica il 28 Luglio 2008: “Il televisore è diventato il caminetto della umanità che invece di bruciare il ciocco profumato brucia la realtà, la consuma e la butta via”.
In fondo cosa distrugge l’interiorità? Metterla in vetrina. Oggi non basta più esibire bei corpi, si esibisce l’anima, l’intimo, il privato. Potremo parlare di una pornografia dell’anima: liti familiari in diretta televisiva, emozioni espresse davanti a milioni di telespettatori, confessioni intime date in pasto a milioni di ascoltatori. E diciamocelo: “tutto ciò che è messo in vetrina è carne di bassa qualità”. E’ un lontano proverbio che Ermanno Olmi metteva in bocca al protagonista del suo primo film: “Il tempo si è fermato”. Quindi per un giovane la conquista vera del suo tempo libero non è facile. “Bella gioventù che si butta via” diceva Renato Zero in una sua bellissima canzone proprio sui giovani.
Conquistare la propria interiorità, fare silenzio, sentire la bellezza di cui sono rivestiti interiormente non è facile per un giovane e paradossalmente oggi i giovani più di un tempo sono davvero pieni di potenzialità e doni.
Ma dietro tutto questo c’è un inganno culturale. Oggi tutto ci dice: “se non ti vedono non esisti”. Questa è la realtà virtuale, la dimensione di Internet. Quindi devi apparire per esistere, ti devi necessariamente mettere in mostra, in vetrina. E’ come se l’assioma di Cartesio si trasformasse in questo modo: non più “penso, quindi esisto”, bensì “mi vedono, quindi esisto”. Direi che un inganno culturale di questo genere forse non aiuta i giovani a pensare, ad entrare in profondità. Quando la ricerca di identità passa dall’apparire.
Necessità delle relazioni
Ciò che è necessario rimane quindi educare alle relazioni, creare per i giovani spazi aggregativi educanti. Sono responsabile del Punto Giovane a Riccione e vedo quanto bene fa la vita comune ai ragazzi di oggi.
Parto da un esempio. Into the Wild – Nelle terre selvagge è un film del 2007 diretto da Sean Penn, basato sul romanzo di Jon Krakauer in cui viene raccontata la storia vera di Christopher McCandless, giovane proveniente dal West Virginia che subito dopo la laurea abbandona la famiglia e intraprende un lungo viaggio di due anni attraverso gli Stati Uniti, fino a raggiungere le terre sconfinate dell’Alaska.
Christopher scappa da una società opprimente, da una famiglia rigida e ansiosa che gli aveva buttato addosso ogni etichetta di bravo ragazzo e figlio ideale. Christopher arriva a conquistarsi il suo spazio, la sua interiorità e la elabora anche scrivendo un diario. Scopre cose molto belle, ma gli manca una cosa. Scriverà così prima di morire nelle terre selvagge dell’Alaska: “non c’è felicità se non è condivisa”.
Il processo di identificazione per un giovane passa necessariamente dalla relazione. Lo abbiamo visto nei filmati: insieme ci si da forza, si vince la pigrizia, si allontana lo spettro sempre vivo della solitudine. Soprattutto lo stare insieme è necessario per la nostra felicità. Quando un giovane vive una cosa bella deve raccontarla. E raccontandola la elabora maggiormente, soprattutto se chi gli sta davanti lo ascolta con attenzione e pazienza. Per questo oggi servono centri aggregativi in cui la priorità deve essere quella dell’ascolto. Occorrono figure educative che mirano alla persona, all’ascolto personale. Il ruolo degli educatori diventa fondamentale, oggi più che mai.
(don franco)
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